Milano Marathon. La mia quinta Maratona. Una distanza – quella della Maratona – che non mi appartiene, che devo ancora esplorare e fare mia. L’anno scorso a Barcellona sono persino finito in ospedale.
E anche quest’anno non sono certo partito col piede giusto. Poco allenamento (in realtà molto ma tutto su brevi distanze, nessun lungo all’attivo), influenza che arriva a pochi giorni dal via, catastrofi, pioggia di meteoriti, le cavallette.
Beh insomma, sapevo già che sarebbe stata dura, durissima, ma ho deciso di partire lo stesso. Mi sono detto: “La prendo come un lungo domenicale, mi metto lì tranquillo senza dar retta a nessuno”. Certo, come no. Primo km e mi accodo ai palloncini delle 4 ore con l’idea (piuttosto insana a pensarci adesso) di fare 3h59′.
Scarpe – le Brooks Launch 3 Tokyo – e calze nuove – le “mie” Wonderful Socks (tanto per rispettare la famosa regola di non mettere mai cose nuove in gara, figuriamoci in Maratona).
Galoppo fino al dodicesimo, forse quindicesimo, calze e scarpe si comportano bene, anzi benissimo. Poi inizio a rallentare di una decina di secondi al km. Inizio a capire che la cazzata è dietro l’angolo. Al ventesimo mi fermo al ristoro e cammino per un breve tratto, mentre mangio uno spicchio di mela. Ed è la mia fine.
Perchè so già che quando inizio a camminare/correre è ora di fare i bagagli. Peccato che manchino ancora 22 km. Una distanza maggiore di quella finora percorsa. Ma il mio cieco ottimismo (maledetto) mi suggerisce di continuare a sorridere, perchè in fondo oggi è una giornata di festa, di sport e di condivisione.
Va bene, allora continuiamo. Tra allucinazioni, risvegli e momenti di buio (nel senso che faccio davvero fatica a ricordare alcuni tratti) mi trascino e lascio passare i km fino al trentesimo, o giù di li, dove inizia il vero show milanese.
Da qui in poi infatti il delirio automobilistico è onnipresente. Gente che urla, minaccia, sbraita. Che fa finta di scendere dalla macchina per spaventare (chissà chi poi). Ho visto (e sentito) una donna chiamare la polizia dicendo di “fare in fretta, perchè qui si stanno mettendo le mani addosso e io ho paura”.
Cose incomprensibili per una città che ormai da SEDICI anni vive la Maratona, anno dopo anno. L’inciviltà e la mancanza di rispetto sono a livelli massimi. Eppure, nonostante gli idioti non manchino mai, questa mi sembra una delle edizioni migliori sotto questo punto di vista. Stiamo lentamente progredendo.
I km finali sono davvero allucinanti. Nel senso di allucinazioni. Ogni passo pesa come un macigno, metri che sembrano non passare mai. Il GPS che segna praticamente 2 km in più. Sono cotto, non ce la faccio più, voglio andare a casa (come diceva Karate Kid).
Attraverso Parco Sempione, poi sempre dritto verso i Bastioni. Ci siamo. Quasi. Manca l’ultima, infinita salita, prima di voltare a destra e tagliare il traguardo.
Che ogni volta è una gioia incredibile, un misto tra senso di liberazione e svuotamento, lacrime di gioia e lacrime di dolore.
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